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Percorso verticale sulla simmetria. Paola Limone

Che cos’è la simmetria? E’ la proprietà di un insieme di elementi,  di una figura geometrica o di un corpo di essere disposto in modo regolare rispetto a un sistema di riferimento assegnato, che può essere un punto, una retta o un piano.
Il concetto di simmetria è di grande importanza in fisica, in matematica, in biologia e in mineralogia.

 Obiettivi specifici:

  1. Riconoscere le simmetrie in natura
  2. Disegnare e completare simmetrie
  3. Capire il significato evolutivo di simmetrie radiali e bilaterali (Scienze della vita)
  4. Identificare e descrivere le proprietà di figure simmetriche rispetto ad un asse o un punto;
  5. Costruire figure simmetriche usando riga e compasso;
  6. Usare software per disegnare e studiare figure simmetriche in matematica (Matematica)
  7. Usare giochi on line sulle simmetrie.

Ecco l’origami ad albero di natale che abbiamo imparato a realizzare:

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Le costellazioni

Una costellazione è ognuna delle 88 parti in cui la sfera celeste è convenzionalmente suddivisa allo scopo di mappare le stelle. I raggruppamenti così formati sono delle entità esclusivamente prospettiche, a cui la moderna astronomia non riconosce alcun reale significato, infatti:

  • nello spazio tridimensionale le stelle che formano una stessa costellazione possono essere separate anche da distanze enormi, così come diverse possono essere le dimensioni e la luminosità,
  • viceversa, due o più stelle che sulla sfera celeste appaiono magari lontanissime tra di loro, nello spazio tridimensionale possono essere al contrario separate da distanze minori di quelle che le separano dalle altre stelle della propria costellazione,
  • durante un ipotetico viaggio intra-stellare non riusciremmo più ad identificare alcuna costellazione, e ogni sosta vicino a qualunque stella ce ne farebbe identificare semmai di nuove, visibili solo da tale nuova prospettiva.
  • nel corso del tempo sono state definite costellazioni differenti, alcune sono state aggiunte, altre sono state unite tra di loro.

L’uomo attraverso la storia ha raggruppato le stelle che appaiono vicine in costellazioni.

Una costellazione “ufficiosa”, ossia un allineamento di stelle che formano semplici figure geometriche, si chiama, invece asterismo.

L’unione astronomica internazionale (UAI) divide il cielo in 88  costellazioni ufficiali con confini precisi, di modo che ogni punto della sfera celeste appartenga ad una ed una sola costellazione. Queste sono basate principalmente sulle costellazioni della tradizione dell’antica Grecia, tramandate attraverso il Medioevo.

Le 88 costellazioni si dividono, secondo un criterio storico e di importanza, in tre gruppi:

  • le 12 costellazioni dello Zodiaco, che vengono quindi percorse dal Sole nel suo moto apparente sulla volta celeste durante l’anno;
  • le altre 36 costellazioni elencate da Tolomeo;
  • le rimanenti 38 costellazioni, definite in epoca moderna. Queste nuove costellazioni sono generalmente composte da stelle poco brillanti e possono essere difficili da osservare dalle città.

Inoltre si dividono anche in base alla loro posizione nel cielo:

  • 18 costellazioni boreali (settentrionali);
  • 34 costellazioni equatoriali;
  • 36 costellazioni australi (meridionali).
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Le tassellazioni: gli alveari

Una tassellazione dello spazio (detta anche piastrellatura o pavimentazione dello spazio) è un insieme di poliedri adiacenti che ricoprono tutto lo spazio, senza lasciare buchi.

Questi poliedri sono generalmente in numero infinito. Di particolare interesse sono le tassellazioni che mostrano una certa regolarità, come quelle formate da poliedri tutti identici fra loro.

In natura, un esempio di tassellazione molto regolare è dato dalle arnie (a nido d’ape).
Con l’aiuto del professor Lariccia anche noi abbiamo creato il nostro alveare personale! Eccolo qui!

In geometria piana, si dicono tassellature (talvolta tassellazioni o pavimentazioni) i modi di ricoprire il piano con una o più figure geometriche ripetute all’infinito senza sovrapposizioni. Tali figure geometriche, (dette appunto “tasselli”), sono spesso poligoni, regolari o no, ma possono anche avere lati curvilinei, o non avere alcun vertice. L’unica condizione che solitamente si pone è che siano connessi, anzi semplicemente connessi (ovvero che siano un pezzo unico e non abbiano buchi).

Si dicono regolari (o periodiche) quelle tassellature che rispettano la seguente regola: esistono due traslazioni indipendenti che mandano la tassellatura in sé stessa (con “indipendenti” si intende che le due traslazioni non devono avere la stessa direzione).

Tale condizione viene solitamente detta regola del parallelogramma perché se chiamiamo v_1 e v_2 i vettori associati alle due più piccole traslazioni che mandano la tassellatura in sé ci accorgiamo che il parallelogramma avente come lati v_1 e v_2 (e che viene detto parallelogramma di base) genera la tassellatura mediante le due traslazioni (in altre parole, possiamo ridisegnare tutta la tassellatura replicando il parallelogramma di base e senza mai doverlo ruotare o “rovesciare”). Sebbene tale condizione possa sembrare molto restrittiva, è rispettata da quasi tutte le pavimentazioni a cui si possa pensare. Il motivo per cui risulta utile è che permette di confrontare tra di loro tassellature all’apparenza totalmente diverse.

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Sempre più studi dimostrano come il gioco degli scacchi aumenti le capacità matematiche, fin dai primi anni di scuola.
L’insegnamento degli scacchi a scuola può migliorare in modo significativo le capacità matematiche di apprendimento degli alunni, nell’ambito di un progetto di ricerca chiamato SAM, che si è occupato della relazione tra l’apprendimento del gioco degli scacchi e le competenze matematiche. Questo è il più recente di una serie di studi sui potenziali vantaggi del gioco degli scacchi condotta in collaborazione con l’I.n.v.a.l.s.i. (Istituto Nazionale per la Valutazione del Sistema dell’Istruzione) su classi di scuola primaria, il cui esito ha attestato un incremento significativo nell’apprendimento della matematica e l’utilità pedagogica dell’attività scacchistica in ambito scolastico.La sperimentazione è stata effettuata su un campione di circa 2.000 alunni di 12 Regioni d’Italia. Già era evidente l’utilità degli scacchi come strumento di educazione sociale e alla legalità nonché come beneficio psicologico per le giovani generazioni. Inoltre, è recente la Dichiarazione del Parlamento Europeo che invita gli Stati membri a favorire l’introduzione degli scacchi nel percorso curricolare nelle proprie istituzioni scolastiche
La leggenda sull’origine del gioco degli scacchi
C’era una volta un ricchissimo Principe indiano. Le sue ricchezze erano tali che nulla gli mancava ed ogni suo desiderio poteva essere esaudito. Mancandogli però in tal modo proprio ciò che l’uomo comune spesso ha, ovvero la bramosia verso un desiderio inesaudibile, il Principe trascorreva le giornate nell’ozio e nella noia. Un giorno, stanco di tanta inerzia, annunciò a tutti che avrebbe donato qualunque cosa richiesta a colui che fosse riuscito a farlo divertire nuovamente.
A corte si presentò uno stuolo di personaggi d’ogni genere, eruditi saggi e stravaganti fachiri, improbabili maghi e spericolati saltimbanchi, sfarzosi nobili e zotici plebei, ma nessuno riuscì a rallegrare l’annoiato Principe. Finché si fece avanti un mercante, famoso per le sue invenzioni. Aprì una scatola, estrasse una tavola con disegnate alternatamente 64 caselle bianche e nere, vi appoggiò sopra 32 figure di legno variamente intagliate, e si rivolse al nobile reggente: “Vi porgo i miei omaggi, o potentissimo Signore, nonchè questo gioco di mia modesta invenzione. L’ho chiamato il gioco degli scacchi“.
Il Principe guardò perplesso il mercante e gli chiese spiegazioni sulle regole. Il mercante gliele mostrò, sconfiggendolo in una partita dimostrativa. Punto sull’orgoglio il Principe chiese la rivincita, perdendo nuovamente. Fu alla quarta sconfitta consecutiva che capì il genio del mercante, accorgendosi per giunta che non provava più noia ma un gran divertimento! Memore della sua promessa, chiese all’inventore di tale sublime gioco quale ricompensa desiderasse.
Il mercante, con aria dimessa, chiese un chicco di grano per la prima casella della scacchiera, due chicchi per la seconda, quattro chicchi per la terza, e via a raddoppiare fino all’ultima casella.Stupito da tanta modestia, il Principe diede ordine affinché la richiesta del mercante venisse subito esaudita. Gli scribi di corte si apprestarono a fare i conti, ma dopo qualche calcolo la meraviglia si stampò sui loro volti. Il risultato finale, infatti, era uguale alla quantità di grano ottenibile coltivando una superficie più grande della stessa Terra!
In effetti il numero di chicchi risultante è di 264 (due alla sessantaquattro), pari ad un numero esorbitante, cioè a 18.446.744.073.709.551.615.
La partita di scacchi viventi a Marostica
La vicenda della Partita risale al 1454 quando Marostica era una delle fedelissime della Repubblica Veneta.
Avvenne che due nobili guerrieri Rinaldo d’Angarano e Vieri da Vallonara, si innamorarono contemporaneamente della bella Lionora, figlia di Taddeo Parisio Castellano di Marostica e, come era costume di quei tempi, si sfidarono in un cruento duello.
Ma il Castellano, che non voleva inimicarsi alcuno dei due calorosissimi giovani e perderli in duello, proibì lo scontro rifacendosi anche ad un editto di Cangrande della Scala, e decise perciò, che Lionora sarebbe andata sposa a quello dei rivali che avesse vinto una partita al nobile gioco degli scacchi: lo sconfitto sarebbe diventato lo stesso suo parente sposando Oldrada, sua sorella minore.
L’incontro si sarebbe svolto in un giorno di festa nella piazza del Castello da Basso, a pezzi grandi e vivi, armati e segnati delle nobili insegne dei bianchi e neri in presenza del Castellano, della sua nobile figlia, dei Signori di Angarano e di Vallonara, dei nobili e del popolo tutto. Decise anche che la disfida fosse onorata da una mostra in campo di uomini d’arme, fanti e cavalieri e fuochi e luminarie e danze e suoni.
Ecco dunque scendere in campo gli armati: arceri, balestrieri ed alabardieri, fanti schiavoni e cavalieri, il Castellano, la sua nobile corte con Lionora trepidante perchè segretamente innamorata di uno dei due contendenti, la fedele nutrice, dame, gentiluomini, l’araldo, il capitano d’armi, falconieri, paggi e damigelle, vessilliferi, musici, massere e borghigiani e poi ancora i bianchi e i neri con Re e Regine, torri e cavalieri, alfieri e pedoni e due contendenti che ordinano le mosse; tripudio infine con fuochi e luminarie secondo l’ordine del castellano.
E così oggi tutto si ripete come la prima volta, in una cornice di costumi fastosi, di corteggi pittoreschi, di gonfaloni multicolori, di marziali parate, di squisita eleganza e su tutto domina una nota di singolare gentilezza cui si è ispirata la rivocazione e questa torna a rivivere oggi quasi per miracolo di fantasia.
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Gli algoritmi: il contributo di al-Khwarizmi

Un algoritmo è un procedimento che risolve un determinato problema attraverso un numero finito di passi. Un problema risolvibile mediante un algoritmo si dice computabile. Il termine “algoritmo” deriva dalla trascrizione latina del nome del matematico persiano al-Khwarizmi, che è considerato uno dei primi autori ad aver fatto riferimento a questo concetto.

Abū Jaʿfar Muhammad ibn Mūsā al-Khwārizmī (780 circa – 850 circa) è stato un matematico, astronomo, astrologo e geografo persiano.

È l’autore dell’al-Kitāb al-mukhtaṣar fī ḥisāb al-ǧabr wa al-muqābala, il primo libro che tratta soluzioni sistematiche di equazioni lineari e di secondo grado. Viene considerato pertanto il padre dell’algebra.

La parola “algebra” deriva da al-jabr: una delle due operazioni usate per risolvere le equazioni di secondo grado come descritto nel suo libro. Il libro Algoritmi de numero Indorum, traduzione latina di uno dei suoi più importanti studi sul sistema di numerazione indiano, introdusse la notazione posizionale e il numero zero nel mondo occidentale nel XII secolo. La parola algoritmo deriva dalla latinizzazione del suo nome.

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Le mappe concettuali

La mappa concettuale è uno strumento grafico per rappresentare informazione e conoscenza, teorizzato da Joseph Novak negli anni settanta[1]. Le mappe servono per rappresentare in un grafico le proprie conoscenze intorno a un argomento secondo un principio cognitivo di tipo costruttivista, per cui ciascuno è autore del proprio percorso conoscitivo all’interno di un contesto, e mirano a contribuire alla realizzazione di apprendimento significativo, in grado cioè di modificare davvero le strutture cognitive del soggetto e contrapposto all’apprendimento meccanico, che si fonda sull’acquisizione mnemonica. Le teorie del prof. J. D. Novak sono infatti fortemente collegate a quelle di David Ausubel.

COME POSSIAMO CREARE UNA MAPPA CONCETTUALE ?

Secondo l’impostazione originale di Novak, le caratteristiche essenziali di una mappa concettuale sono le seguenti:

  • È costituita da nodi concettuali, ciascuno dei quali rappresenta un concetto elementare e viene descritto con un’etichetta apposta ad una sagoma geometrica.
  • I nodi concettuali sono collegati mediante delle relazioni di tipo connessionista: in genere vengono rappresentate come frecce orientate e dotate di un’etichetta descrittiva (in genere un predicato).
  • La struttura complessiva è di tipo reticolare (che quindi potrebbe non presentare un “preciso punto di partenza”).

Le mappe concettuali a scuola (mappe strutturali)

Le mappe “strutturali” rappresentano una evoluzione delle mappe concettuali, utilizzate soprattutto a livello scolastico. In pratica si definiscono strutturali, le mappe che si propongono di rappresentare le relazioni che si stabiliscono tra i concetti principali di una unità di apprendimento. L’uso dell’aggettivo strutturale è dovuto alla loro caratteristica di sintetizzare e mostrare la struttura dell’informazione. Permette agli studenti di studiare e memorizzare con maggiore efficacia il materiale di studio.

Ecco la prima mappa concettuale che abbiamo creato con Mindomo sui blocchi logici:

Blocchi 01

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“Perchè diamo i numeri?” Bruno D’Amore

Avreste mai detto che gli animali sanno contare? Che addirittura le galline hanno un’idea delle grandezze? Che il numero più importante in matematica si chiama “pi greco”? Che la matematica non serve a vincere al superenalotto? E soprattutto, che la matematica può essere addirittura una forma d’arte?

Perché diamo i numeri? è un libro che parla di matematica in modo molto divertente e che vuole rispondere a tutte quelle curiosità che la matematica, se solo conosciuta un po’ meglio, potrebbe suscitare.
Bruno D’Amore, un matematico che si occupa da anni ormai di didattica della matematica, si preoccupa di rispondere con pazienza e simpatia. Un matematico simpatico, sì, avete capito bene!

1) Come mai la matematica crea tante antipatie e insofferenze? Le maestre di matematica sono forse più antipatiche?

“Assolutamente no, ci mancherebbe. La matematica sarebbe di per sé una materia divertente, piena di sorprese, tant’è che i bambini piccoli, diciamo fino ai dieci anni, sono in genere attratti dalla matematica. Gli insegnanti in quegli anni hanno modo di far conoscere loro il gioco che c’è dietro. Purtroppo però è una disciplina che, ad un certo punto, richiede un certo formalismo e quando si arriva alle medie, noi tutti ce lo ricordiamo, cambia un po’ faccia e comincia a diventare più complessa. Quindi se l’insegnante decide culturalmente e professionalmente di dedicare un po’ del tempo che ha a disposizione a far capire il senso della matematica e ad attrarre i ragazzi, allora tutto funziona bene; ma se si trincera dietro questi formalismi perde purtroppo più della metà degli studenti.
Il momento tragico sono i quattordici anni, che già è un’età massacrante di per sé. In più ci si mette la matematica che è incomprensibile, non si capisce il perché un quattordicenne debba studiare i polinomi. Sarebbe giusto che gli insegnanti spiegassero loro il perché di questa fatica.”

2) A scuola si creano quasi sempre le fazioni: fan dell’italiano e fan della matematica. Quando era lei ad essere sui banchi di scuola qual era la materia che preferiva? La matematica era già nel suo cuore?

“Io sono sempre andato bene sia in italiano che in matematica a scuola. Mi venivano spontanei. Ricordo, quando avevo quattordici-quindici anni, che non capivo perché i miei compagni non capissero. Mi sembrava tutto così ovvio. Io passavo compiti a tutti, che mi adoravano e in cambio mi offrivano qualche merenda…ho pagato poi le conseguenze in qualche chilo di troppo! Non riuscivo a capire dove fosse la difficoltà. E credo che uno dei motivi che mi hanno spinto ad occuparmi di didattica – ho fatto il matematico di professione per diversi anni prima – fosse proprio la curiosità di capire cosa ci fosse dietro la mancata comprensione.

Perché un ragazzo intelligente, che capisce la “Divina commedia”, non capisce la fattorizzazione dei polinomi? A me sembra impossibile, perché la prima è una cosa difficile e complessa, mentre le altre sono stupidaggini. Mi sono messo a studiare questo tipo di ragazzi, che vanno bene in tutto, ma falliscono proprio in matematica e ho fatto delle scoperte incredibili. La maggior parte di loro fallisce non per colpa della matematica, ma per colpa dei meccanismi formali della matematica.

Ci sono due tipologie diverse di persone che reagiscono male alla matematica. Quelle che non ne capiscono la fantasia e l’artisticità e le vanno a ricercare tra le altre discipline. Con queste persone, io applico il procedimento contrario: mostro la matematica che sta dietro molte opere d’arte e di letteratura. A questo proposito ho scritto vari libri che hanno avuto un ottimo successo come Leonardo e la matematica oppure Matematica. Stupore e poesia . Poi ci sono invece delle persone più tecniche e pragmatiche, che hanno bisogno di sentirsi dire a cosa serve la matematica. A questi rispondo che siamo circondati dalla matematica: qualunque cosa tu faccia, dall’uso del cellulare all’operarsi agli occhi, è legato strettamente alla matematica. Ho scritto un libro anche per loro Matematica dappertutto – spiegando che, ovunque guardi, c’è della matematica.

3) In Italia la scuola inizia proprio oggi per la maggior parte degli studenti, un consiglio e un augurio che farebbe ai bambini e ragazzi che già partono con il cruccio di un anno di matematica da affrontare?

Auguro ai bambini di riconciliarsi con la matematica e di ritrovare il divertimento opportuno in tutto quello che faranno di matematica.

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Keith J. Devlin ha dato e continua a dare contributi importanti sia nella ricerca sia nella divulgazione.
Ha conseguito il dottorato in matematica nel 1971 presso l’Università di Bristol, nel settore della teoria degli insiemi – sono ricerche molto difficili e affascinanti quelle dell’attuale teoria degli insiemi, veri e propri esperimenti mentali di coraggiose estrapolazioni verso infiniti sempre più grandi e per studiare le conseguenze della loro esistenza sulla matematica concreta e per affinare l’intuizione dell’infinito.

Frutto di questa attività di divulgazione sono diversi libri di cui alcuni tradotti in italiano (Matematica – La nuova età dell’oro, Dove va la matematica, Addio Cartesio, Il linguaggio della matematica, Il gene della matematica).
Il libro Il gene della matematica gioca un ruolo fondamentale la discussione della crescita progressiva del cervello nel corso dell’evoluzione umana; in particolare, visto che la matematica che conosciamo è troppo recente per risentire dell’evoluzione biologica, un elemento decisivo appare essere la nascita del linguaggio, in seguito alla crescita dimensionale del cervello (soprattutto della corteccia frontale) in un periodo che va da 200.000 a 75.000 anni fa.

La sua tesi è che per la matematica non sono necessarie altre capacità di quelle che permettono il linguaggio; l’argomento centrale è che con il linguaggio evoluto si è resa possibile agli umani una forma di pensiero astratto superiore, che egli chiama off-line: la capacità non solo di descrivere fatti elementari, anche già articolati nelle affermazioni soggetto-predicato che coinvolgono nomi comuni, astratti, ma la possibilità ulteriore di immaginare e descrivere situazioni di fantasia. Il vantaggio evolutivo connesso a questa capacità è quello della pianificazione, che richiede di inventare scenari possibili (se le cose stessero), e di sviluppare logicamente le conseguenze delle ipotesi immaginate.
Sulla base di questa tesi, e come elemento di conferma, Devlin presenta una visione della matematica dove prevale la costruzione e la comunicazione di storie, non essenzialmente diverse dalle telenovele e dallo scambio di pettegolezzi, relative a mondi formati da personaggi che sono questa volta gli oggetti astratti matematici, i quali sono gli schemi, i pattern, che si incontrano in tutte le trattazioni matematiche.

<< Sono circa trent’anni che mi occupo di matematica e da almeno cinque cerco di capire in che modo il mio cervello, e quello degli altri matematici, riesca a fare matematica. Per molti motivi questa è una domanda interessante e inconsueta. Il motivo più interessante riguarda il tempo. L’evoluzione ha avuto luogo attraverso centinaia, migliaia e milioni di anni, mentre la matematica è molto recente. I numeri hanno diecimila anni e la maggior parte della matematica ha, al massimo, duemila anni. Questo tempo è troppo breve perché possano avvenire grandi cambiamenti nel cervello umano. Quindi, quando facciamo matematica, quando i nostri cervelli pensano in modo matematico, dobbiamo necessariamente usare delle abilità mentali che sono state acquisite centinaia di migliaia di anni prima che la matematica venisse inventata. E la domanda che mi sono posto, quando ho scritto Il Gene delle Matematica è la seguente: “Come hanno fatto i nostri antenati ad acquisire il pensiero matematico?”

Ho elencato nove diverse capacità mentali.

Numero 1: il senso del numero.

Numero 2: l’abilità numerica.

Numero 3: l’abilità di ragionare sullo spazio che ci circonda.

Numero 4: il senso di causa ed effetto.

Numero 5: l’abilità di costruire e seguire una catena causale di fatti o di avvenimenti.

Numero 6: l’abilità algoritmica (un esempio di algoritmo è l’insieme delle regole che si devono seguire per moltiplicare fra loro due numeri).

Numero 7: l’abilità di gestire concetti astratti.

Numero 8: l’abilità di ragionare in modo logico.

Numero 9: l’abilità di ragionare sulle relazioni. >>

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Con il termine origàmi si intende l’arte di piegare la carta (折り紙 o-ri-gami, termine derivato dal giapponese, ori piegare e kami carta). La tecnica moderna dell’origami usa pochi tipi di piegature combinate in un’infinita varietà di modi per creare modelli anche estremamente complicati. In genere, questi modelli cominciano da un foglio quadrato, i cui lati possono essere di colore differente e continua senza fare tagli alla carta, ma l’origami tradizionale era molto meno rigido e faceva frequente uso di tagli, oltre a partire da basi non necessariamente quadrate. Alla base dei principi che regolano l’origami, vi sono senz’altro i principi shintoisti del ciclo vitale e dell’accettazione della morte come parte di un tutto: la forma di carta, nella sua complessità e fragilità, è simbolo del tempio shintoista che viene ricostruito sempre uguale ogni vent’anni, e la sua bellezza non risiede nel foglio di carta. Alla morte del supporto, la forma viene ricreata e così rinasce, in un eterno ciclo vitale che il rispetto delle tradizioni mantiene vivo. L’origine degli origami giapponesi è strettamente legata alla religione shintoista e la valenza sacrale della carta è anche testimoniata dal fatto che in giapponese la parola carta e dei si pronunciano entrambe kami. 

Le prime forme di origami, dette go-hei, erano costituite da semplici strisce di carta piegate in forme geometriche e, unite ad un filo o ad una bacchetta di legno, utilizzate per delimitare gli spazi sacri. A causa dell’estrema semplicità di queste prime forme di piegatura della carta, alcuni fanno invece risalire l’origine dell’origami all’epoca Muromachi (1392-1573), riconducendola alle cerimonie del dono augurale delnoshi-awabi ai samurai: questo particolare mollusco, simbolo dell’immortalità, veniva offerto all’interno di un astuccio di carta, che con il passare del tempo divenne piegato in modo sempre più complesso fino ad acquistare dignità di dono in sé.
È uso giapponese donare un origami a forma di gru. Infatti la gru (per i giapponesi) è simbolo di purezza.

L’origami oggi:  la diffusione dell’origami in occidente si può ricondurre al libro di Sembazuru Orikata, affiancato dalla sezione sull’origami del testo enciclopedico Kan no mado (letteralmente, Finestra sulla stagione fredda): per il primo libro occidentale sull’origami, tuttavia, bisognerà attendere il 1928 conFun with Paperfolding di Murray e Rigney, seguito dalPaper Magic di Robert Harbin (in gran parte basato, a sua volta, sugli studi Gershon Legman). Alla base di questi volumi vi è la prima teorizzazione occidentale riguardo all’origami, ad opera di Josef Albers, padre della teoria moderna dei colori e della corrente minimalista. All’interno del proprio progetto pedagogico, insegnò l’arte della piegatura degli origami tra il 1920 ed il 1930 adottando fogli circolari che venivano piegati in spirali e forme ricurve. Le sue opere hanno influenzato visivamente gli artisti di origami moderni come Kunihiko Kasahara, mentre le sue teorie si inseriscono nella pedagogia moderna attraverso l’opera di Friedrich Fröbel (1782 – 1852), che riconobbe il potenziale educativo degli origami e lo introdusse come strumento nel suo ‘kindergarten system’ nei primi anni dell’Ottocento. Oggi, l’origami si è sviluppato come arte a sé ma ha contaminato anche altri ambiti, sia artistici che scientifici. 

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Il teatro delle ombre

Il teatro delle ombre cinesi è una forma d’arte cinese che può vantare una lunghissima tradizione. Le ombre cinesi sono un tipo di spettacolo molto antico che veniva svolto in teatrini ambulanti che si spostavano da un paese all’altro, similmente ai gabbiotti delle marionette o dei pupi siciliani. Era comune trovare questi teatri ambulanti vicino ai templi, durante le ricorrenze religiose, ma anche nelle feste laiche come il Capodanno o alle fiere di paese.

Negli spettacoli le figure non si vedono direttamente ma, come dice il nome stesso, appaiono solo le loro ombre. Lo spettatore si pone davanti a uno schermo bianco semi-trasparente dietro il quale degli attori manovrano le figure e recitano le varie parti. Una potente fonte di luce proietta le ombre direttamente sullo schermo con l’effetto di ingigantirle e rendere animate le figure.

L’antica arte cinese è, poi, stata esportata in tutto il mondo e, al giorno d’oggi, con ombre cinesi si indicano, in generale, tutte le ombre che vengono proiettate attraverso l’uso delle mani o di ritagli di carta o cartoncini.

La leggenda…

Una leggenda vuole che l’Imperatore cinese Wudi (140-85 a.C.) fosse divenuto molto triste in seguito alla morte della sua concubina Li Furen. Per consolare il sovrano, i suoi consiglieri fecero scolpire una figura in legno simile alla donna e ne proiettarono l’ombra su una tenda. L’Imperatore credendo che fosse lo spirito della sua amata che tornava a fargli visita si sentì consolato. Ovviamente oggi le figure non sono più di legno, ma di cuoio, più leggero e più semplice da maneggiare.

L’antica arte cinese è, poi, stata esportata in tutto il mondo e, al giorno d’oggi, con ombre cinesi si indicano, in generale, tutte le ombre che vengono proiettate attraverso l’uso delle mani o di ritagli di carta o cartoncini.